Simon Boccanegra

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Novembre 2025
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Opera in un prologo e tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave, Giuseppe Montanelli e Arrigo Boito, dal dramma “Simón Bocanegra” di Antonio García Gutiérrez
Prima versione: 17 marzo 1857, Teatro La Fenice, Venezia
Seconda versione: 24 marzo 1881, Teatro alla Scala, Milano
Prima alla Deutsche Oper Berlin: 29 gennaio 2023
Versione del 1881, integrata con il preludio del 1857

Durata: 3 ore / con intervallo
In lingua italiana con sovratitoli in tedesco e inglese
Introduzione (in tedesco): 45 minuti prima dell’inizio

 

Sullo spettacolo – Sull’opera
La Repubblica di Genova è divisa in due fazioni guidate dai rivali Simon Boccanegra e Fiesco, in conflitto da decenni. Li unisce però una donna scomparsa da tempo: la figlia di Fiesco, amata da Simon, che gli diede una figlia, Amelia, scomparsa in tenera età. Venticinque anni dopo Amelia ricompare, diventando pedina in una lotta di potere che condurrà alla morte di Simon.

La versione originale del 1857 è un’esplorazione di Verdi sul contrasto tra pubblico e privato. La contrapposizione tra Simon e Fiesco alimenta un clima di sospetto, cospirazione e omicidio, con poche speranze di lieto fine. Nemmeno la vittoria di una parte può garantire la pace.

Questa visione cupa, rafforzata nella versione del 1881 – base della nostra produzione –, potrebbe spiegare perché SIMON BOCCANEGRA non ha mai raggiunto la popolarità di IL TROVATORE o UN BALLO IN MASCHERA, pur offrendo ritratti musicali profondi e struggenti.

 

La trama

 

Prologo

Una piazza di Genova – A destra il Palazzo dei Fieschi – È notte

È il 1339. Sta per essere eletto il nuovo Doge e in città fervono le lotte fra il partito plebeo, capeggiato dal popolano Paolo Albiani, e quello aristocratico legato al nobile Jacopo Fiesco.

Paolo confida al popolano Pietro di sostenere l'ascesa al trono dogale di Simon Boccanegra, un corsaro che ha reso grandi servigi alla repubblica genovese, e di attendersi in cambio potere e ricchezza. Giunge Simone, angosciato perché da molto tempo non ha più notizie di Maria, la donna amata che gli ha dato una figlia e che per questo è tenuta prigioniera nel palazzo gentilizio del padre Jacopo Fiesco. Paolo convince il riluttante Simone ad accettare la candidatura prospettandogli che, una volta eletto Doge, nessuno potrà più negargli le nozze con Maria. Pietro chiede al popolo di votare per Simone e avverte che dal palazzo dei Fieschi giungono dei lamenti di donna: forse è Maria, la fanciulla da tempo scomparsa (L'atra magion vedete?). Tutti si allontanano.

 

Jacopo Fiesco esce sconvolto dal palazzo: Maria è morta. Voci pietose intonano un Miserere (A te l'estremo addio). Sopraggiunge Simone e, ignaro di quanto è accaduto, supplica il Fiesco di perdonarlo e concedergli Maria. Quando il patrizio gli pone come condizione la consegna della nipote, egli confessa che la bambina fu da lui affidata a un'anziana nutrice in un paese lontano, ma poi la nutrice morì e la bambina scappò via di casa e quindi scomparve. Svanita così ogni speranza di rappacificazione, il Fiesco finge di allontanarsi, ma di nascosto osserva Simone, che entra nel palazzo in cerca della prigioniera. Dall'interno dell'edificio giunge un grido disperato: «Maria!», e proprio in quel momento il popolo acclama Simon Boccanegra nuovo Doge.

 

Tra il prologo e il primo atto trascorrono venticinque anni e accadono molti fatti: il Doge ha esiliato i capi degli aristocratici, confiscandone le proprietà, e il Fiesco, per sfuggirgli, vive in esilio in un palazzo fuori di Genova, sotto il nome di Andrea Grimaldi, mentre Simone crede ch'egli sia morto. Anni addietro, però, il Fiesco e la famiglia Grimaldi trovarono una bambina nel convento in cui era appena morta Amelia, la figlia dei Grimaldi, e decisero di adottarla e di darle il nome della figlia morta per evitare che il Doge di Genova confiscasse le ricchezze della famiglia; ma quest'orfana, all'insaputa di tutti, altri non è che la vera figlia di Maria e Simone. Trascorsi venticinque anni, Amelia ama riamata un giovane patrizio, Gabriele Adorno, che, essendo l'unico a sapere che Jacopo Fiesco e Andrea Grimaldi sono la stessa persona, congiura con lui contro il Doge plebeo.

 

Atto primo

Quadro primo

Giardino dei Grimaldi fuori di Genova.

Amelia attende Gabriele in riva al mare, immersa nei confusi ricordi della sua fanciullezza (Come in quest'ora bruna), e quando il giovane la raggiunge lo supplica di non partecipare alla cospirazione contro Simone (Vieni a mirar la cerula).

Pietro annuncia l'arrivo del Doge e Amelia, temendo che egli venga a chiederla in sposa per il suo favorito, Paolo Albiani, supplica Gabriele di prevenirlo affrettando le nozze. Rimasto solo con Gabriele, Andrea Grimaldi (ossia Jacopo Fiesco) gli rivela che Amelia è in realtà un'orfanella a cui, lui e i Grimaldi, hanno dato il nome della vera figlia dei Grimaldi e, vedendolo degno di lei, lo benedice.

 

Squilli di trombe annunciano l'entrata del Doge, che porge ad Amelia un foglio: è la concessione della grazia ai Grimaldi. La fanciulla, commossa, gli apre il cuore, confessandogli di amare un giovane aristocratico e di essere insidiata dal perfido Paolo, che aspira alle sue ricchezze. Infine gli rivela di essere orfana (Orfanella il tetto umile). Simone, sentendo la parola orfana, la incalza con le sue domande e confronta un suo medaglione con quello che la fanciulla porta al collo: entrambi recano l'immagine di Maria! Padre e figlia si abbracciano felici.

Al ritorno di Paolo, Simone gli ordina di rinunciare ad Amelia e il perfido uomo, per vendicarsi, organizza per la notte successiva il rapimento della donna.

 

Quadro secondo

Sala del Consiglio nel Palazzo degli Abati.

Il Senato si è riunito e il Doge chiede il parere dei suoi consiglieri: egli desidera la pace con Venezia, ma Paolo e i suoi vogliono la guerra. Dalla piazza giungono i clamori di un tumulto e, affacciandosi al balcone, Simone scorge Gabriele Adorno inseguito dai plebei. Pietro, temendo che il rapimento di Amelia sia stato scoperto, incita Paolo a fuggire, ma il Doge lo precede ordinando che tutte le porte siano chiuse: chiunque fuggirà sarà dichiarato traditore. Poi, incurante delle grida di «Morte al Doge!», fa entrare il popolo. La folla irrompe trascinando il Fiesco e Gabriele, che confessa di aver ucciso l'usuraio Lorenzino, l'uomo che ha rapito Amelia per ordine di un «uom possente» del quale non ha fatto in tempo a svelare il nome; poi, ritenendolo responsabile del rapimento, si slancia su Simone per colpirlo. Sopraggiunge Amelia, si pone fra i due e supplica il padre di salvare Adorno, raccontando di essere stata rapita da tre sgherri, di essere svenuta e di essersi ritrovata nella casa di Lorenzino. Poi, «fissando Paolo», dice di poter riconoscere il vile mandante del rapimento. Scoppia un tumulto, patrizi e plebei si accusano a vicenda, Simone rivolge all'assemblea e al popolo un accorato discorso, invocando pace e amore per tutti (Plebe! Patrizi! Popolo...). Gabriele gli consegna la spada ma il Doge la rifiuta e lo invita a rimanere agli arresti a palazzo finché l'intrigo non sia svelato. Si rivolge quindi a Paolo, di cui ha intuito la colpevolezza, e lo invita a maledire pubblicamente il traditore infame che si nasconde nella sala. Paolo, inorridito, è in tal modo costretto a maledire se stesso.

 

Atto secondo

Stanza del Doge nel Palazzo Ducale di Genova.

Paolo, bandito da Genova, chiede a Pietro di condurre da lui i due prigionieri, Gabriele e il Fiesco, e versa una fiala di veleno nella tazza di Simone. Non contento, egli chiede al Fiesco, l'organizzatore confesso della rivolta, di assassinare il Doge nel sonno e, davanti al suo sdegnato rifiuto, lo fa riportare in cella e insinua in Gabriele il sospetto che Amelia si trovi in balìa delle turpi attenzioni di Simone (Sento avvampar nell'anima). Quando giunge Amelia, il giovane l'accusa di tradimento con il Doge, di cui uno squillo di tromba annuncia l'arrivo. Gabriele si nasconde, Amelia in lacrime confessa al padre di amare l'Adorno e lo supplica di salvarlo. Simone, combattuto fra i doveri della sua carica e il sentimento paterno, la congeda. Beve quindi un sorso dalla tazza, notando che l'acqua ha un sapore amaro, e si assopisce. Gabriele esce dal suo nascondiglio e si slancia contro di lui per colpirlo, ma ancora una volta Amelia glielo impedisce. È il momento della rivelazione: il Doge si risveglia, ha un violento scontro verbale con Gabriele, che l'accusa di avergli ucciso il padre, e infine gli svela che Amelia è sua figlia.

 

Il giovane implora Amelia di perdonarlo e offre al Doge la sua vita (Perdon, perdono, Amelia). Di fuori giungono rumori di tumulti e voci concitate: i cospiratori stanno assalendo il palazzo. In segno di riconciliazione il Doge incarica Gabriele di comunicare loro le sue proposte di pace e gli concede la mano di Amelia.

 

Atto terzo

Interno del Palazzo Ducale.

La rivolta è fallita, il Doge ha concesso la libertà ai capi ribelli, solo Paolo è stato condannato a morte. Mentre si reca al patibolo, egli rivela al Fiesco di aver fatto bere a Simone un veleno che lo sta lentamente uccidendo e ascolta con orrore le voci che inneggiano alle future nozze di Amelia e Gabriele.

 

Giunge il Boccanegra, che sta cercando refrigerio al malessere che già lo pervade respirando sul balcone l'aria del mare. All'improvviso gli si avvicina il Fiesco (nei panni di Andrea Grimaldi), che gli annuncia che la sua morte è vicina (Delle faci festanti al barlume). Da quella voce inesorabile, dopo averlo osservato bene in volto, Simone riconosce con stupore l'antico nemico, ch'egli credeva morto, e con un gesto magnanimo decide di rivelargli che Amelia è sua nipote. La commozione invade l'anima del vecchio patrizio, che troppo tardi comprende l'inutilità del suo odio. Un abbraccio pone fine alla lunga guerra.

 

Quando il corteo degli sposi torna dalla chiesa, Simone invita la figlia a riconoscere nel Fiesco il nonno materno, benedice la giovane coppia (Gran Dio, li benedici) e muore dopo aver proclamato Gabriele nuovo Doge di Genova.

Programma e cast

Direzione d'orchestra: Paolo Arrivabeni
Regia: Vasily Barkhatov
Scenografia: Zinovy Margolin
Costumi: Olga Shaishmelashvili
Disegno luci: Alexander Sivaev
Video: Martin Eidenberger
Maestro del coro: Jeremy Bines
Drammaturgia: Sebastian Hanusa

Simon Boccanegra: Etienne Dupuis
Jacopo Fiesco: Liang Li
Paolo Albiani: Michael Bachtadze
Pietro: Volodymyr Morozov
Maria / Amelia: Nicole Car
Gabriele Adorno: Attilio Glaser
Capitano: Michael Dimovski, Kangyoon Shine Lee (15.11.2025 | 26.11.2025)
Domestica: Lucy Baker

Orchestra: Orchester der Deutschen Oper Berlin
Coro: Chor der Deutschen Oper Berlin

Galleria fotografica
Simon Boccangegra
Bettina Stöß
© Bettina Stöß
Simon Boccangegra
Bettina Stöß
© Bettina Stöß
Simon Boccangegra
Bettina Stöß
© Bettina Stöß

La Deutsche Oper Berlin

La Deutsche Oper Berlin è una compagnia d'opera situata nel quartiere berlinese di Charlottenburg, Germania. L'edificio residente è il secondo più grande teatro lirico del paese e anche la sede del Balletto di Stato di Berlino.

La storia dell'azienda risale agli Opernhaus Deutsches costruiti dalla città allora indipendente Charlottenburg-la "città più ricca di Prussia", secondo i piani progettati da Heinrich Seeling dal 1911. Ha aperto il 7 nov 1912 con una performance di Fidelio di Beethoven, condotto da Ignatz Waghalter. Dopo l'incorporazione di Charlottenburg dal 1920 Grande Berlino Act, il nome dell'edificio residente è stato cambiato a Städtische Oper (Municipal Opera) nel 1925.

Deutsches Opernhaus, 1912
Con il Machtergreifung nazista nel 1933, l'opera era sotto il controllo del Ministero della Pubblica dell'Illuminismo e Propaganda del Reich. Ministro Joseph Goebbels aveva il nome cambiato di nuovo al Deutsches Opernhaus, in competizione con il Berlin State Opera a Mitte controllato dal suo rivale, il prussiano ministro-presidente Hermann Göring. Nel 1935, l'edificio è stato ristrutturato da Paul Baumgarten e il salotto ridotta 2300-2098. Carl Ebert, il direttore generale della seconda guerra pre-mondiale, ha scelto di emigrare dalla Germania piuttosto che avallare la visione nazista della musica, e ha continuato a collaborare -ha trovato l'Opera Festival di Glyndebourne in Inghilterra. Egli fu sostituito da Max von Schillings, che ha aderito a emanare opere di "carattere tedesco puro". Molti artisti, come il direttore d'orchestra Fritz Stiedry o il cantante Alexander Kipnis seguiti Ebert in emigrazione. Il teatro fu distrutto da un raid aereo della RAF, il 23 novembre 1943. Spettacoli continuato al Admiralspalast a Mitte fino al 1945. Ebert restituito come direttore generale dopo la guerra.

Dopo la guerra, la società in quello che ormai era Berlino Ovest utilizzato il vicino edificio delle Theater des Westens fino a quando il teatro è stato ricostruito. Il design sobrio di Fritz Bornemann è stata completata il 24 settembre 1961. La produzione di apertura era Don Giovanni di Mozart. Il nuovo edificio inaugurato con il nome attuale.

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